lunedì 25 gennaio 2010

Le Fiabe della Buonanotte: La bambina triste


C'era una volta una bambina tanto, ma tanto triste.
"Perchè sei così triste, bimba cara?" le chiedeva sempre sua nonna che era zoppa, cieca, quasi sorda e gravemente malata, ma era anche l'unica parente adulta che rimaneva alla bambina.
"Oh nonnina, sono triste perchè..." ma non riusciva mai a finire la frase che la nonna la sgretolava di bastonate.
Non lo faceva apposta, l'adorabile vecchina, purtroppo aveva il Parkinson e non si controllava.

La bambina, poichè la nonna era così ridotta, doveva badare a sè, all'anziana e anche ai ventinove gemelli che erano il lascito della sua adorata mamma purtroppo morta durante il parto appena due anni prima.

Dovendo mantenere la sua famiglia, ogni santo giorno la bambina usciva dal tugurio che chiamava casa alle cinque e trenta del mattino per andare a spalare il carbone e poi, dopo averlo spalato tutto, andava finalmente a lavorare intorno alle sette o alle sette meno un quarto quando era particolarmente in forma.
Dovete sapere, infatti, che il tugurio sorgeva in una cava di carbone ed ogni notte il carbone slavinava e seppelliva la casa e il sentiero per uscire.

Ma c'era anche un lato fortunato, perchè non va dimenticato che non tutti i mali vengono per nuocere: nelle lunghe, gelide notti d'inverno, una cosa che sicuramente non mancava alla famiglia era il carbone per la stufa!

Purtroppo non avevano la stufa.

Ad ogni modo, come dicevamo, la bambina si alzava ogni mattina per andare a raggranellare qualche moneta lavorando come lucidatrice di sterco, un lavoro di grande difficoltà che richiedeva mani piccole e occhi buoni.
E così la bambina lucidava giornalmente chili e chili di sterco dei generi più disparati, sterco che avrebbe poi generato immense ricchezze ai suoi padroni e delle quali lei, naturalmente, non avrebbe avuto nemmeno una piccola parte.
L'unico guadagno era rappresentato da un soldino a settimana, che bastava a malapena a comprare una pagnotta da dividere coi 29 gemelli e la cara nonnina.

Ma un bel giorno, mentre era lì che lucidava con tristezza un borlotto di capra davvero molto ben fatto, apparve improvvisa una grande luce da cui uscì una donna vestita di stelle, dagli occhi gentili, folti capelli azzurri, un musetto puntuto, grosse orecchie tonde e denti aguzzi.
"Chi sei?" chiese la bimba, sempre triste ma un po' meno del solito, alla vista di quella meravigliosa apparizione.
"Sono la faina dai capelli turchini", disse la cosa con un bel sorriso vagamente inquietante.
"Sei la mia madrina?", domandò la piccola.
"Faina! Faina! Cazzo! Non ho detto madrina, ho detto faina!", rispose garrulo il mostro afferrando un ratto che passava di là e staccandogli la testa con un sol morso.
"Dimmi, bella bambina, perchè sei così triste?", continuò la fata.
"Oh, vedi signora, io sono così sfortunata! La mia nonna è tanto malata, ho 29 fratelli e sorelle da mantenere, vivo in una cava di carbone la cui polvere mi ottura i polmoni, lavoro nello sterco e di questo passo non credo che vivrò abbastanza per diventare grande."
"Sì, va bene", disse carezzandola la magica apparizione, "ma cos'è che ti affligge?".
"Cosa sei, scema?" domandò la bimba guardandola di sbieco e corrugando la fronticina. "Ho l'equivalente di 6 famiglie da mantenere, vivo nel carbone e lavoro nello sterco e tutto per guadagnare questo unico e misero soldino."
"Bibidi bobidi bù!" intonò la faina facendole magicamente scomparire la moneta di mano, tirandosi su le gonne e correndo via a tutta velocità.

La bambina rimase impietrita per qualche secondo, con la manina vuota ancora alzata, a guardare la bestia che si defilava oltre le pile di sterco.
E mentre infine comprendeva cosa fosse successo si sentì così triste, ma così triste, di una tristezza talmente infinita, che quella spaventevole tristezza fece tutto il giro e si trasformò nella più sfrenata felicità.

E fu così che visse per sempre felice e contenta.

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